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Lucia Borsellino e Fabio Trizzino: "La via crucis di Paolo"

 

Sentita oggi dalla commissione antimafia, l'auspicio di Lucia Borsellino è stato chiaro. Non tesi precostituite, ma un'attenta e rigorosa analisi dei documenti, testimonianze autorevoli (pensiamo ai magistrati sentiti al CSM a una settimana dalla strage di Via D'Amelio), atti, per comprendere appieno cosa Borsellino stesse vivendo e soprattutto a quali indagini puntasse.


Il giudice Paolo Borsellino ucciso il 19 giugno 1992 in Via D'Amelio
Il giudice Paolo Borsellino

L'avvocato Fabio Trizzino ha abilmente ricostruito il contesto politico di allora, la partitocrazia che traballava con i primi segnali di tangentopoli, il cambio di guardia di Cosa Nostra con l'avvento di Totò Riina che aveva captato lo stravolgimento in corso e ha puntato al capotavola del "tavolino" per la spartizione dei pubblici appalti. Non più ruolo parassitario, ma attivo. Direi egemonico.

Ha delineato questo contesto per far comprendere quanto sia stato "pericoloso" il dossier mafia appalti in quel momento e che, se sviluppato adeguatamente in quel biennio (91-92), avrebbe creato un problema non indifferente. Si sarebbe creata una devastante onda d'urto. Ben peggiore di tangentopoli. Trizzino non a caso ha ricordato che Borsellino disse a Antonio Di Pietro che bisognava trovare la chiave per far parlare gli imprenditori, un contesto difficile, visto che c'era il coinvolgimento di Cosa Nostra in Sicilia.

Ma la parte più sentita e dolorosa nel contempo è quella di un Borsellino ostacolato all'interno della procura di Palermo. Tutto documentato, nessuna illazione e ipotesi astratte. Questa è la parte più dura ed è quella più coperta dalla narrazione mediatica. Un potere mediatico (assoggettato a una parte di una certa magistratura che ha scheletri nell'armadio), tanto da manipolare le frasi stesse di Borsellino. Un esempio lo ha proposto Trizzino stesso. Basti pensare alla frasetta attribuita a Borsellino: "Non sarà la mafia ad uccidermi, ma saranno altri".

Ecco, in realtà la frase esatta riportata dalla moglie Agnese è: "Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi e altri a permettere che ciò potesse accadere". Omettere perennemente i colleghi, come fa spesso un certo ex magistrato, è già una traccia da approfondire. Ora attendiamo la prossima convocazione di Trizzino, perché a quanto ho percepito dal suo intervento, questo è solo l'antipasto.

Damiano Aliprandi

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