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Stragi: la solidità della pista dossier Mafia Appalti


Non si comprende il motivo per il quale si fa quasi intendere che la pista del dossier mafia appalti come causa delle stragi di Capaci e di Via D'Amelio, dove persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sia una fantasia giudiziaria. O addirittura, come fa intendere una certa antimafia (composta da uno zoo interessante tra ex magistrati, guru e fanatici vari), una forma di depistaggio per nascondere delle "indicibili" verità. In questo articolo sintetizzo al massimo la questione. 

I fatti, non suggestioni. Non mi addentro, per ovvi motivi, su come la procura di Palermo di allora, trattò questo procedimento. Non entro nel merito di cosa ne pensasse Paolo Borsellino. Sono tutti elementi che molto probabilmente saranno sviscerati dall'attuale commissione antimafia guidata da Chiara Colosimo. Sempre se lo permetteranno.



Frontespizio del dossier mafia appalti redatto dagli ex Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno su impulso di Giovanni Falcone Dossier Mafia Appalti
Dossier Mafia Appalti

Gli atti giudiziari che indicano il dossier mafia appalti come concausa

Qui di seguito una lista delle sentenze e ordinanze che dicono espressamente che mafia appalti, unito alla questione del maxiprocesso, è la concausa delle stragi:

  • Sentenza Capaci di primo grado
  • Sentenza Capaci di secondo grado
  • Sentenza Capaci bis di primo grado
  • Sentenza Capaci bis di secondo grado
  • Sentenza Catania di primo grado
  • Sentenza corte d'Appello Catania
  • Sentenza Borsellino quater di primo grado
  • Sentenza Borsellino quater di secondo grado

  • Sentenza di assoluzione Trattativa secondo grado

Che l’interessamento dei giudici Falcone e Borsellino riguardante il dossier mafia-appalti sia stata una concausa delle stragi, questo è accertato quindi da tutte le sentenze. Quest’ultime hanno individuato un movente ben preciso. Sono diversi i passaggi cristallizzati nelle motivazioni.

C’è quello di Giovanni Brusca che, nelle udienze degli anni passati, disse che, in seno a Cosa nostra, sussisteva la preoccupazione che Falcone, divenendo Procuratore Nazionale Antimafia, potesse imprimere un impulso alle investigazioni nel settore inerente la gestione illecita degli appalti. Ricordiamo ancora una volta che il dossier fu redatto dagli allora ex Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno sotto il coordinamento e per volere di Giovanni Falcone.

Falcone aveva compreso la rilevanza strategica del settore appalti

C’è quello del pentito Angelo Siino, che sosteneva che le cause della sua eliminazione andavano cercate nelle indagini promosse dal magistrato nel settore della gestione illecita degli appalti, verso cui aveva mostrato un “crescendo di interessi”. Difatti – si legge nelle sentenze - in Cosa nostra, e, in particolare, da parte di Pino Lipari e Antonino Buscemi, era cresciuta la consapevolezza che Falcone avesse compreso la rilevanza strategica del settore appalti e che intendesse approfondirne gli aspetti: «questo sa tutte cose, questo ci vuole consumare» (pag. 74, ud. del 17 novembre 1999).

Ed è proprio quell’Antonino Buscemi, il colletto bianco mafioso, che era entrato in società con la calcestruzzi della Ferruzzi Gardini a lanciare l’allarme anche per quanto riguarda le esternazioni di Falcone durante un convegno pubblico proprio su criminalità e appalti. Un convegno, marzo 1991, dove evocò chiaramente l’inchiesta mafia-appalti che era ancora in corso. Il dossier fu depositato in procura su volere di Falcone stesso il 20 febbraio 1991.

Peraltro, anche Giuseppe Madonia aveva manifestato il convincimento che Falcone aveva compreso i legami tra mafia, politica e settori imprenditoriali. Siino, con riferimento all’eliminazione di Borsellino, ha inoltre aggiunto che Salvatore Montalto, durante la comune detenzione nel carcere di Termini Imerese, facendo riferimento agli appalti, gli aveva detto: «ma a chistu cu cìu purtava a parlare di determinate cose».

Borsellino aveva detto a varie persone che quella degli appalti era una pista da seguire

Borsellino, infatti, nel periodo immediatamente successivo alla strage di Capaci, aveva esternato a diverse persone, oltre all’intervista del giornalista Luca Rossi, che una pista da seguire era quella degli appalti. A distanza di 31 anni, però non si è mai fatto chiarezza su un punto. Diversi pentiti hanno affermato che sia Pino Lipari che Antonino Buscemi avevano un canale aperto con un magistrato della procura di Palermo.

Alla sentenza d'appello del 2000 sulla strage di Capaci, tra gli altri, vengono riportate le testimonianze di due pentiti. Una è quella di Siino: «Sul punto, Angelo Siino, il quale, pur non rivestendo il ruolo di uomo d’onore, ha impostato la propria esistenza criminale, all’interno dell’ambiente imprenditoriale-politico-mafioso, ha evidenziato di avere appreso che Pino Lipari aveva contattato l’onorevole Mario D’Acquisto affinché intervenisse nei confronti dell’allora Procuratore della Repubblica di Palermo, al fine di neutralizzare le indagini trasfuse nel rapporto c.d. “mafia-appalti” e in quelle che si potevano stimolare in esito a tali risultanze».

I Buscemi avevano ceduto fittiziamente le imprese al gruppo Ferruzzi

Basta riportare la versione di Giovanni Brusca scolpita nelle motivazioni sopracitate: «Quanto ai rapporti tra i fratelli Buscemi, il gruppo Ferruzzi-Gardini e l’ing. Bini, Brusca ha evidenziato di avere appreso da Salvatore Riina che, a seguito della legge Rognoni-La Torre, i Buscemi avevano ceduto fittiziamente le imprese (la cava Bigliemi e una Soc. Calcestruzzi) al gruppo Ferruzzi; che Antonino Buscemi era rimasto all’interno della struttura societaria come impiegato; che l’ing. Bini rappresentava il gruppo in Sicilia e la Calcestruzzi S.p.A.; che i fratelli Buscemi si “tenevano in mano…… questo gruppo imprenditoriale in maniera molto forte” e potevano contare sulla disponibilità di un magistrato appartenente alla Procura di Palermo, di cui non ha voluto rivelare il nome; che Salvatore Riina, in epoca precedente all’interesse per l’impresa Reale, si era lamentato del fatto che i Buscemi non mettevano a disposizione dell’intera organizzazione i loro referenti».

Damiano Aliprandi


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