Informativa sul carcere relativa alle rivolte, ai trasferimenti e l'evasione riuscita ai tempi del covid 19. Su Il Dubbio abbiamo reso pubblico tutto ciò che è stato relazionato.
Nei giorni in cui alcune forze politiche hanno chiesto al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, di riferire in Parlamento dei fatti relativi alle rivolte scoppiate in circa 50 carceri italiane e dei detenuti morti come conseguenza più tragica, è stata richiesta una informativa urgente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Due sono state le informative rese. La prima risale all’11 marzo, seguita da una relazione integrativa, mentre il 24 marzo è giunta l’informativa aggiornata sempre dal Dap. La prima cosa che salta all’occhio è che non c’è alcun accenno a una eventuale indagine interna da parte del Dap su eventuali pestaggi subiti dai detenuti coinvolti nelle rivolte. Molte segnalazioni, giunte anche all’associazione Antigone, parlavano di azioni violente che sarebbero avvenute in tutte le carceri interessate, in momenti successivi a quelli in cui sono stati attuati gli interventi per far fronte alle rivolte. «Parallelamente all’azione penale, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria deve avviare subito un’indagine interna urgente che sappia dare un segnale chiaro e mai ambiguo di condanna assoluta del possibile utilizzo della violenza ai danni delle persone detenute», aveva affermato Patrizio Gonnella di Antigone. Ma almeno dalle informative del Dap inviate al ministero della Giustizia, di questo non c’è alcuna traccia. Molto dettagliata, invece, carcere per carcere, la ricostruzione delle rivolte avvenute tra il 7 e l’11 marzo. Fortunatamente, la stragrande maggioranza degli agenti penitenziari non ha riportato nulla di grave. Mentre rimane la tragica conseguenze dei 14 reclusi morti.

I MORTI DEL CARCERE DI MODENA
«L’otto marzo 2020, alle ore 13.15 circa, nelle fasi di immissione dei detenuti ai cortili dedicati alla permanenza all’aperto, alcuni ristretti, arrampicandosi sulle pareti, sono riusciti a raggiungere il muro di cinta». Si legge nella relazione del Dap che, vista la situazione, il Comandante di Reparto ha impartito le disposizioni per il contenimento della protesta in atto, attraverso la chiusura di tutti i cancelli di “sbarramento” delle singole sezioni detentive. Nello stesso momento, si sono manifestati disordini in altre sezioni dove alcuni detenuti, armati di estintore e di altri oggetti contundenti, hanno avuto accesso all’interno del “box agenti”. Gli agenti, dotati dei dispositivi di protezione disponibili e degli strumenti antisommossa, hanno tentato di resistere «agli agiti violenti di un sempre maggiore numero di soggetti, provenienti da ogni punto di accesso». Una parte del personale viene quindi armata con la dotazione d’emergenza e inviata sul muro di cinta, per presidiare i posti chiave e impedire possibili tentativi di evasione. Si legge ancora che un detenuto ha tentato di sottrarre l’arma di reparto a un agente di polizia il quale, grazie ad una repentina azione di contrasto, ha scongiurato il peggio. Contemporaneamente altri detenuti hanno tentato di evadere forzando le “porte carraie” e gli accessi alla “portineria centrale”. «Grazie all'intervento del personale presente – scrive il Dap nell'informativa -, all’utilizzo di autovetture ed altri mezzi blindati posti a protezione della “porta carrata esterna”, si riusciva a respingere il tentativo di evasione in massa». Un gruppo di detenuti è riuscito ad accedere all’area sanitaria interna, distruggendo le porte di ingresso agli ambulatori e al deposito dei farmaci, «ove peraltro vi era ancora personale». Poi c’è tutta la descrizione della rivolta che è degenerata sempre di più, per poi concludersi il giorno dopo.
Al carcere di Modena, si legge nella relazione, un agente penitenziario ha riportato una rottura dei legamenti, subita durante le concitate fasi dei disordini. Mentre, riporta sempre l’informativa, «sono deceduti n. 9 detenuti, presumibilmente per ingestione di farmaci, n. 5 presso l’istituto di Modena, n. 4 presso gli istituti di destinazione a seguito del trasferimento (CC. Parma, CC. Verona, CR. Alessandria C.C. Ascoli Piceno)». Ahmadi Erial, Qtouchane Hafedl, Agrebi Slim,Iuzu Arffiur, Rouan Abdellha, Hadidi Ghazi, sono alcuni nomi dei detenuti morti riportati dal Dap nell’informativa. Così come viene specificato che ulteriori decessi, causati da situazioni analoghe a quelle di Modena, risultano avvenuti presso l’istituto di Rieti (dove il 10 marzo 2020 hanno trovato la morte tre detenuti) e presso quello di Bologna, dove un detenuto – specifica il Dap – risulta deceduto in data 11 marzo. «Allo stato degli elementi finora acquisiti – si legge sempre nell'informativa -, può riferirsi che i detenuti avrebbero approfittato del caos determinato dalla protesta per appropriarsi dei farmaci presenti nell’ambulatorio dell’istituto modenese, verosimilmente metadone».

LA PAURA DELLA DIFFUSIONE DEL CONTAGIO CON I TRASFERIMENTI
Molto interessante la prima informativa, quella dell’11 marzo, dove il Dap sottolinea la difficoltà nei trasferimenti. In sostanza le direzioni delle altre carceri avevano opposto resistenza proprio per il timore che i detenuti potessero veicolare il Covid-19 e contaminare le carceri. Timore che poi si rivelerà effettivamente fondato. «Particolarmente complessa – si legge -, fino a questo momento, è risultata l’attività di trasferimento verso altri Istituti penitenziari dei detenuti che hanno preso parte alle rivolte: le principali cause, che hanno ostacolato i trasferimenti, sono collegabili soprattutto alla difficoltà, da parte delle zone meno colpite dalla contaminazione del Covid-19, a ricevere detenuti provenienti in particolare da Modena o dalle zone colpite dalla maggiore diffusione del virus». Su questo punto tuona Rita Bernardini, l’esponente del Partito Radicale. «Ma come ci si può lamentare – osserva la Radicale – del fatto che gli istituti penitenziari delle zone meno colpite dal Covid-19 hanno fatto un po’ di resistenza a ricevere i detenuti provenienti dai luoghi a maggiore diffusione del virus? Anziché diminuire il sovraffollamento, in piena pandemia, il ministero della Giustizia ha trasferito centinaia di detenuti (forse migliaia, visto che il ministro Bonafede ha parlato di 6.000 detenuti partecipanti alle rivolte) da una parte all’altra del Paese mettendo a repentaglio la vita di detenuti e detenenti!».
CANCELLI NON PROTETTI E L’UNICA EVASIONE DI MASSA RIUSCITA
Mentre nel carcere di Bologna (così come a Modena) la polizia penitenziaria è riuscita ad evitare l’evasione grazie al fatto che «constatata l’inattitudine dei cancelli di sbarramento delle sezioni a contenere i detenuti ivi reclusi, per la cedevolezza degli stessi alle violenze dei medesimi – si legge nell'informativa relativa alla protesta del carcere bolognese -, il Comandante disponeva la saldatura dei cancelli intermedi presenti, fino al cancello d’ingresso principale», al carcere foggiano la situazione è andata diversamente. Non c’è stata nessuna azione volta a rafforzare o a proteggere i cancelli come è accaduto nelle altre carceri. Sempre nella relazione si legge che i rivoltosi della casa circondariale di Foggia erano riusciti ad accedere nel piazzale esterno abbandonando così la zona detentiva. «Altri numerosi detenuti – si legge nell'informativa – giungevano nel medesimo piazzale dopo aver sfondato il doppio varco della carraia. La ressa così costituita e formata da oltre 400 detenuti, si impadroniva di tutta l’area». Dopodiché «un gruppo di circa 100 detenuti si dirigeva verso il primo dei due cancelli di ingresso buttandolo a terra e favorendo in questo modo la fuga verso l’esterno di numerosi detenuti attraverso la porta pedonale temporaneamente aperta per mettere in sicurezza avvocati e alcuni operatori che manifestavano segnali di evidente paura».
A seguito di ciò si era quindi verificata l’evasione di 72 detenuti. Quasi tutti sono stati ripresi. Due li hanno arrestati due giorni fa. Manca all’appello solo Cristoforo Aghilar, 36enne, che nell’ottobre scorso ha ucciso la mamma dell’ex fidanzata.

Nei giorni in cui alcune forze politiche hanno chiesto al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, di riferire in Parlamento dei fatti relativi alle rivolte scoppiate in circa 50 carceri italiane e dei detenuti morti come conseguenza più tragica, è stata richiesta una informativa urgente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Due sono state le informative rese. La prima risale all’11 marzo, seguita da una relazione integrativa, mentre il 24 marzo è giunta l’informativa aggiornata sempre dal Dap. La prima cosa che salta all’occhio è che non c’è alcun accenno a una eventuale indagine interna da parte del Dap su eventuali pestaggi subiti dai detenuti coinvolti nelle rivolte. Molte segnalazioni, giunte anche all’associazione Antigone, parlavano di azioni violente che sarebbero avvenute in tutte le carceri interessate, in momenti successivi a quelli in cui sono stati attuati gli interventi per far fronte alle rivolte. «Parallelamente all’azione penale, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria deve avviare subito un’indagine interna urgente che sappia dare un segnale chiaro e mai ambiguo di condanna assoluta del possibile utilizzo della violenza ai danni delle persone detenute», aveva affermato Patrizio Gonnella di Antigone. Ma almeno dalle informative del Dap inviate al ministero della Giustizia, di questo non c’è alcuna traccia. Molto dettagliata, invece, carcere per carcere, la ricostruzione delle rivolte avvenute tra il 7 e l’11 marzo. Fortunatamente, la stragrande maggioranza degli agenti penitenziari non ha riportato nulla di grave. Mentre rimane la tragica conseguenze dei 14 reclusi morti.

I MORTI DEL CARCERE DI MODENA
«L’otto marzo 2020, alle ore 13.15 circa, nelle fasi di immissione dei detenuti ai cortili dedicati alla permanenza all’aperto, alcuni ristretti, arrampicandosi sulle pareti, sono riusciti a raggiungere il muro di cinta». Si legge nella relazione del Dap che, vista la situazione, il Comandante di Reparto ha impartito le disposizioni per il contenimento della protesta in atto, attraverso la chiusura di tutti i cancelli di “sbarramento” delle singole sezioni detentive. Nello stesso momento, si sono manifestati disordini in altre sezioni dove alcuni detenuti, armati di estintore e di altri oggetti contundenti, hanno avuto accesso all’interno del “box agenti”. Gli agenti, dotati dei dispositivi di protezione disponibili e degli strumenti antisommossa, hanno tentato di resistere «agli agiti violenti di un sempre maggiore numero di soggetti, provenienti da ogni punto di accesso». Una parte del personale viene quindi armata con la dotazione d’emergenza e inviata sul muro di cinta, per presidiare i posti chiave e impedire possibili tentativi di evasione. Si legge ancora che un detenuto ha tentato di sottrarre l’arma di reparto a un agente di polizia il quale, grazie ad una repentina azione di contrasto, ha scongiurato il peggio. Contemporaneamente altri detenuti hanno tentato di evadere forzando le “porte carraie” e gli accessi alla “portineria centrale”. «Grazie all'intervento del personale presente – scrive il Dap nell'informativa -, all’utilizzo di autovetture ed altri mezzi blindati posti a protezione della “porta carrata esterna”, si riusciva a respingere il tentativo di evasione in massa». Un gruppo di detenuti è riuscito ad accedere all’area sanitaria interna, distruggendo le porte di ingresso agli ambulatori e al deposito dei farmaci, «ove peraltro vi era ancora personale». Poi c’è tutta la descrizione della rivolta che è degenerata sempre di più, per poi concludersi il giorno dopo.
Al carcere di Modena, si legge nella relazione, un agente penitenziario ha riportato una rottura dei legamenti, subita durante le concitate fasi dei disordini. Mentre, riporta sempre l’informativa, «sono deceduti n. 9 detenuti, presumibilmente per ingestione di farmaci, n. 5 presso l’istituto di Modena, n. 4 presso gli istituti di destinazione a seguito del trasferimento (CC. Parma, CC. Verona, CR. Alessandria C.C. Ascoli Piceno)». Ahmadi Erial, Qtouchane Hafedl, Agrebi Slim,Iuzu Arffiur, Rouan Abdellha, Hadidi Ghazi, sono alcuni nomi dei detenuti morti riportati dal Dap nell’informativa. Così come viene specificato che ulteriori decessi, causati da situazioni analoghe a quelle di Modena, risultano avvenuti presso l’istituto di Rieti (dove il 10 marzo 2020 hanno trovato la morte tre detenuti) e presso quello di Bologna, dove un detenuto – specifica il Dap – risulta deceduto in data 11 marzo. «Allo stato degli elementi finora acquisiti – si legge sempre nell'informativa -, può riferirsi che i detenuti avrebbero approfittato del caos determinato dalla protesta per appropriarsi dei farmaci presenti nell’ambulatorio dell’istituto modenese, verosimilmente metadone».

LA PAURA DELLA DIFFUSIONE DEL CONTAGIO CON I TRASFERIMENTI
Molto interessante la prima informativa, quella dell’11 marzo, dove il Dap sottolinea la difficoltà nei trasferimenti. In sostanza le direzioni delle altre carceri avevano opposto resistenza proprio per il timore che i detenuti potessero veicolare il Covid-19 e contaminare le carceri. Timore che poi si rivelerà effettivamente fondato. «Particolarmente complessa – si legge -, fino a questo momento, è risultata l’attività di trasferimento verso altri Istituti penitenziari dei detenuti che hanno preso parte alle rivolte: le principali cause, che hanno ostacolato i trasferimenti, sono collegabili soprattutto alla difficoltà, da parte delle zone meno colpite dalla contaminazione del Covid-19, a ricevere detenuti provenienti in particolare da Modena o dalle zone colpite dalla maggiore diffusione del virus». Su questo punto tuona Rita Bernardini, l’esponente del Partito Radicale. «Ma come ci si può lamentare – osserva la Radicale – del fatto che gli istituti penitenziari delle zone meno colpite dal Covid-19 hanno fatto un po’ di resistenza a ricevere i detenuti provenienti dai luoghi a maggiore diffusione del virus? Anziché diminuire il sovraffollamento, in piena pandemia, il ministero della Giustizia ha trasferito centinaia di detenuti (forse migliaia, visto che il ministro Bonafede ha parlato di 6.000 detenuti partecipanti alle rivolte) da una parte all’altra del Paese mettendo a repentaglio la vita di detenuti e detenenti!».
CANCELLI NON PROTETTI E L’UNICA EVASIONE DI MASSA RIUSCITA
Mentre nel carcere di Bologna (così come a Modena) la polizia penitenziaria è riuscita ad evitare l’evasione grazie al fatto che «constatata l’inattitudine dei cancelli di sbarramento delle sezioni a contenere i detenuti ivi reclusi, per la cedevolezza degli stessi alle violenze dei medesimi – si legge nell'informativa relativa alla protesta del carcere bolognese -, il Comandante disponeva la saldatura dei cancelli intermedi presenti, fino al cancello d’ingresso principale», al carcere foggiano la situazione è andata diversamente. Non c’è stata nessuna azione volta a rafforzare o a proteggere i cancelli come è accaduto nelle altre carceri. Sempre nella relazione si legge che i rivoltosi della casa circondariale di Foggia erano riusciti ad accedere nel piazzale esterno abbandonando così la zona detentiva. «Altri numerosi detenuti – si legge nell'informativa – giungevano nel medesimo piazzale dopo aver sfondato il doppio varco della carraia. La ressa così costituita e formata da oltre 400 detenuti, si impadroniva di tutta l’area». Dopodiché «un gruppo di circa 100 detenuti si dirigeva verso il primo dei due cancelli di ingresso buttandolo a terra e favorendo in questo modo la fuga verso l’esterno di numerosi detenuti attraverso la porta pedonale temporaneamente aperta per mettere in sicurezza avvocati e alcuni operatori che manifestavano segnali di evidente paura».
A seguito di ciò si era quindi verificata l’evasione di 72 detenuti. Quasi tutti sono stati ripresi. Due li hanno arrestati due giorni fa. Manca all’appello solo Cristoforo Aghilar, 36enne, che nell’ottobre scorso ha ucciso la mamma dell’ex fidanzata.
Risultano cosi efficaci quanto un'abile propaganda, poiché l'oggetto delle buone azioni è costretto a riceverle come gli vengono proposte, cioè pensandosi come creatura umana isolata di fronte a un'altra creatura umana. La carità borghese coltiva il mito della fraternità.
RispondiEliminaMa c'è un'altra propaganda, che qui ci interessa più particolarmente, poiché noi siamo scrittori, e gli scrittori se ne fanno gli agenti inconsapevoli. La leggenda dell'irresponsabilità del poeta, che denunciavamo poc'anzi, trae la sua origine dallo spirito analitico. Poiché gli autori borghesi si considerano anch'essi come piselli in scatola, la solidarietà che li unisce agli altri uomini sembra loro strettamente meccanica, cioè di semplice giustapposizione. Anche se posseggono un senso elevato della loro missione letteraria, pensano d'aver fatto abba-
stanza quando hanno descritto la propria natura o quella dei loro amici:
dato che tutti gli uomini sono fatti a reciproca somiglianza, illuminando ogni uomo a proposito di se stesso, avranno reso un servizio a tutti. E poiché il postulato da cui partono è quello dell'analisi, sembra loro perfettamente semplice utilizzare, per conoscersi, il metodo analitico. Tale è l'origine della psicologia intellettualistica, di cui le opere di Proust ci offrono l'esempio più compiuto. Pederasta, Proust ha creduto di potersi servire della propria esperienza omosessuale quando ha voluto descriverci l'amore di Swann per Odette; borghese, presenta il sentimento d'un borghese ricco e ozioso per una mantenuta come il prototipo dell'amore: crede dunque all'esistenza di passioni universali il cui meccanismo non varia sensibilmente quando si modifichino i caratteri sessuali, la condizione sociale, la nazione o l'epoca degli individui che le provano. Dopo aver così «isolato» questi affetti immutabili, potrà cominciare a ridurli, a loro volta, in particelle elementari. Fedele ai postulati dello spirito analitico, non immagina neppure l'esistenza di
una dialettica dei sentimenti - per lui c'è solo un meccanismo dei sentimenti. Cosi l'atomismo sociale, posizione di ripiego della borghesia contemporanea, porta all'atomismo psicologico. Proust si è eletto borghese, si è fatto complice della propaganda borghese, poiché la sua opera continua a diffondere il mito della natura umana. Noi siamo convinti che lo spirito analitico abbia fatto il suo tempo
e che il suo unico compito, oggi, sia di turbare la coscienza rivoluzionaria e di isolare gli uomini a profitto delle classi privilegiate.
Non crediamo più alla psicologia intellettualistica di Proust, e la riteniamo nefasta. Poiché abbiamo scelto come esempio la sua analisi dell'amore-passione, chiariremo certo il nostro punto di vista al lettore citando i punti essenziali sui quali rifiutiamo qualsiasi intesa con lui.
Ora alla luce di quanto ti ho riportato di Sartre che tu non intendi ,Bonura e co. sono liberi! Meno male che la trattativa non esiste! Vergogna! Ma si sa, tu sei un filisteo "libertario" pieno di ipocrisia
RispondiEliminaQuindi il magistrato di sorveglianza che ha dato i domiciliari per i gravi motivi di salute, sarebbe in trattativa con la mafia? Complimenti. Puoi citare Sartre, ma rimani comunque un ignorante. Nel senso che ignori l'argomento, si intende.
RispondiEliminaNel lavoro di giornalista è essenziale non farsi domande (specie come quella sopra) , ma romanzare di sentimenti, come diceva il fu mino pecorelli, darsi anima e corpo al populismo della lagrimuccia. Magari, questo l aggiungo io, davanti una bella video chiamata tra mafiosi e spose.
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