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Matteo Messina Denaro è morto: la storia nuda e cruda.

 

Matteo Messina Denaro è morto. Troppe dietrologie e nel contempo troppe omissioni e ricostruzioni falsate sulla sua figura. Qui ripercorriamo la sua storia. Chi era, come mai è stato latitante per trent'anni e che ruolo ha avuto in Cosa Nostra. 



Le diverse foto di Matteo Messina Denaro. Da giovane, immagini ricostruite dalla polizia e infine l'ultima sua vera foto  quando è stato arrestato
Matteo Messina Denaro

Matteo Messina Denaro è morto all'età di 61 anni dopo una lunga battaglia contro il cancro al colon. L'ex latitante è scomparso mentre era ricoverato nel reparto detenuti presso l'ospedale de L'Aquila, dove era entrato in uno stato di coma irreversibile. Le sue condizioni erano peggiorate a seguito di un sanguinamento e di un collasso, che avevano compromesso gravemente i suoi parametri vitali. Al suo capezzale c'erano la nipote e legale Lorenza Guttadauria, oltre alla giovane figlia Lorenza, che aveva incontrato per la prima volta in aprile nel carcere di massima sicurezza de L'Aquila.

Il 16 gennaio scorso, mentre si preparava a iniziare una seduta di chemioterapia presso la clinica Maddalena di Palermo, è stato arrestato. Ha tentato di allontanarsi quando si è reso conto di essere braccato, ma non è riuscito a fuggire, poiché decine di uomini armati e con il volto coperto del Ros avevano circondato la casa di cura. I pazienti, tenuti fuori dalla struttura per ore, hanno applaudito i militari in segno di gratitudine.

Ecco perché ci sono voluti trent'anni per catturalo.

La domanda che molti si sono posti è: perché sono stati necessari trent'anni per arrestare Matteo Messina Denaro? Questo ha dato adito a varie teorie, alcune delle quali suggeriscono una sorta di trattativa dietro al suo arresto. Puntualmente si fanno dietrologie. La mafia è nota per la sua territorialità, e Messina Denaro ha goduto di protezione grazie a una vasta rete di sostenitori, inclusi infiltrati e politici locali. Che Matteo Messina Denaro avesse il proprio covo nel suo feudo non dovrebbe meravigliare nessuno. 

Tutti i boss, a partire da Totò Riina, non se ne sono mai andati dal proprio territorio. Anche Bernardo Provenzano viveva tranquillamente rintanato nel suo casolare di campagna. E riuscì a essere latitante per ben 43 anni. Anche lui non negò la propria identità e si complimentò stringendo la mano agli uomini che gli hanno messo le manette.

L'interno della masseria dove si rifugiava Provenzano
Covo di Bernardo Provenzano

La ricchezza di Matteo Messina Denaro è stata fortemente colpita da diverse operazioni giudiziarie nel corso degli anni. In una delle lettere inviate all'ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino, che lavorava per conto del SISDE guidato da Mario Mori, Messina Denaro si lamentava della perdita dei suoi beni. Tuttavia, questa operazione non ebbe successo a causa di fughe di notizie.

È emerso che anche la direzione della procura di Palermo ha commesso errori nel corso degli anni. Nel 2012, si sono verificate polemiche tra i vertici della Procura di Palermo, secondo quanto riferito da Teresa Principato, procuratore aggiunto del capoluogo siciliano. Ha sottolineato che l'indagine non è stata compromessa dal Ros, ma dalla direzione della procura stessa. Questi incidenti hanno contribuito a ritardare l'arresto di Matteo Messina Denaro.

La sua partecipazione alle stragi.

È noto che i boss della mafia tendono a rimanere nel proprio territorio. In rappresentanza della provincia di Trapani, Matteo Messina Denaro è stato designato da Totò Riina - a seguito del progressivo aggravarsi delle condizioni di salute del padre, Francesco Messina Denaro, storico uomo d’onore trapanese, rappresentante della provincia di Trapani oltre che del mandamento di Castelvetrano - a svolgere le funzioni di "reggente" della provincia sin dai tempi della guerra di mafia di Partanna deflagrata nell'87 e conclusasi nel '91, e dunque ben prima della consumazione degli eventi stragisti del '92. 

Denaro ha quindi partecipato alla decisione di "dichiarare guerra" allo Stato, assunta tra la fine del '91 e l'inizio del '92 dalla Commissione Regionale di Cosa Nostra, organo deliberativo di vertice dell'organizzazione. Ha aderito, fin dall’inizio, all’attuazione del piano iniziale tramite un gruppo "riservato" creato da Riina ed alle sue dirette dipendenze incaricato di uccidere Falcone e Borsellino in altri territori. 


Strage via dei Gergofili, di © Gianluca Braccini | dalla mostra La stagione stragista, Firenze, maggio 2023
Strage via dei Gergofili, di © Gianluca Braccini | dalla mostra La stagione stragista, Firenze, maggio 2023

Sì, perché inizialmente volevano uccidere Falcone a Roma (e Matteo Messina Denaro aveva il suo uomo di fiducia nell’operazione, tale Antonio Scarano), così come volevano uccidere Borsellino quando già era procuratore di Marsala, territorio dove appunto operava Matteo Messina Denaro. Un attentato, quest’ultimo, mai eseguito perché si rifiutarono i due marsalesi poi uccisi da Riina proprio perché si erano opposti all’ordine. 

Così come, è noto – grazie alle testimonianze dei pentiti sentiti durante i processi – che è stato proprio Matteo Messina Denaro ad indicare i luoghi simbolo degli attenti continentali del 1993 tramite le guide turistiche. Aveva messo gli occhi – dirà Brusca al processo sulle stragi continentali - pure sul tempio di Selinunte (a Trapani) e che c’erano persone disposte a distruggerlo. 

Il proverbio ebraico

Matteo Messina Denaro, a poche settimane dal suo arresto, è stato interrogato dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e l'aggiunto Paolo Guido. Cosa è emerso? Poca roba, però ha dato una spiegazione chiara sul perché è stato catturato. Era evidente, logico. Da quando ha scoperto di avere il tumore, ha dovuto necessariamente abbassare le difese. Non nascondersi più, ma mimetizzarsi tra le persone. Doveva curarsi. 

"Mi sono messo a pensare", ha raccontato ai procuratori, "e ho seguito un proverbio ebraico che dice: 'Se vuoi nascondere un albero, piantalo in mezzo a una foresta'." E così ha agito. Ha fatto ritorno alla sua base e si è trovato costretto ad utilizzare il cellulare per comunicare con i medici dell'ospedale e prendere gli appuntamenti necessari. Da lì ha osato "scoprirsi" di più. Semplice, lineare, prevedibile. Poi da mafioso doc ha negato di essere di Cosa Nostra, ha negato tutto. 

Ma tra il detto e non detto, qualcosa lo fa capire. Poi ovviamente ci sono tanti omissis nella trascrizione dell'interrogatorio. E forse qualche spunto per le indagini ulteriori potrebbe esserci. Ma questo solo il tempo ce lo dirà. Nel frattempo è morto. Anche se ricoverato in ospedale, è deceduto in regime del 41 bis. Ciò solleva una questione: qual è il senso di un regime duro quando una persona è in fin di vita? Da una parte la mafia, dall'altra il volto inutilmente feroce dello Stato. Questo crea un alibi per i mafiosi, che in modo erroneo si convincono ancor di più di essere dei "criminali onesti". Un ossimoro, quest'ultimo, citato da Messina Denaro durante l’interrogatorio stesso. 

Ora Matteo Messina Denaro è morto, ma non stravolge l’assetto mafioso attuale. Anche perché lui non è mai stato il capo dei capi di Cosa Nostra. Non poteva esserlo. “Pensava agli affari suoi”, disse Riina intercettato al 41 bis. Ma sulle intercettazioni Il Dubbio ci ritornerà presto. C’è un tassello mancante sulla strage di Via D’Amelio.

Damiano Aliprandi


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