Passa ai contenuti principali

Falange Armata: ecco il complotto.

 

La Falange Armata ritorna in auge. Sono stati scritti tanti libri del tutto romanzati, è entrato nei processi di mafia, nelle commissioni parlamentari antimafia e ancora viene riproposta come se fosse uno dei grandi indicibili misteri italiani. Il giornalismo dovrebbe raccontare i fatti nudi e crudi. Propongo questa mia mini inchiesta, dove svelo di che cosa si tratta. Una sigla inesistente, quella della "Falange Armata", usata anche da Totò Riina stesso per depistare. Ma a quanto pare, è una forma di depistaggio usata da una certa antimafia al livello del terrapiattismo. E parlo di quelli in buona fede. Altri la usano per allontanare i fatti. E hanno motivi personali.


Un delle tante rivendicazioni. In questo caso riguardante due carabinieri uccisi il 18 gennaio 1994 sull'autostrada all'altezza dello svincolo di Scilla, in provincia di Reggio Calabria
Rivendicazione Falange Armata


«Noi ci siamo. Voi avete le reti, avete le informazioni, avete la tecnologia: noi abbiamo voi, le vostre case, le reti. La rivoluzione sì, ma nuova, come l’avreste mai immaginata. Falange Armata». Sembra la rivendicazione degli hacker di oggi, tipo quelli di Anonymous, mentre in realtà risale nel 1995 ed erano messaggi lasciati da chi ha violato i sistemi informatici come quelli dell’istituto di fisica del Gran Sasso e della Banca d’Italia. Fece tanto scalpore, soprattutto perché si trattava delle rivendicazioni da parte della famosa “falange armata”. Tanti sono stati i libri scritti in merito a questa sigla, parlando anche di servizi segreti visto la specialità nel violare dati sensibili. In realtà quell’episodio fu svelato dall’allora magistrato romano Pietro Saviotti e si scoprì che furono opera di ragazzini: gli hacker di allora.

La Falange armata era stata una pseudo organizzazione che rivendicava circa 400 episodi di cronaca criminale (tipo la banda della “Uno bianca” e singoli omicidi) e mafiosa (il periodo delle stragi) con comunicati deliranti e contraddittori che veicolavano messaggi di minaccia verso operatori penitenziari, giornalisti, magistrati, istituzioni, politici e simboli dello Stato. Il periodo andava dal ’ 90 fino al ’ 95. Inizialmente la sigla era Fac (Falange armata carceraria), perché iniziò a minacciare gli agenti penitenziari. Venne all’epoca indagato e processato, poi prosciolto, l’operatore penitenziario del carcere di Opera Carmelo Scalone. In realtà venne indagato perché la telefonata anonima, a nome della Falange armata carceraria, proveniva dalla sua abitazione. Attraverso però una perizia fonica, venne assolto definitivamente.

Non si era mai capito precisamente chi ci fosse dietro questa sigla, ma già appariva chiaro che si trattava di una sigla di comodo usata per depistare la polizia o rivendicare azioni che non sarebbero state mai state rivendicate da nessuno. Il dato oggettivo è che a volte qualcuno è stato inquisito. Tipo personaggi squilibrati e vicini all’area di estrema destra. Ognuno usava quella sigla per rivendicare qualcosa, a volte lasciando messaggi deliranti e complottisti.


Il capo dei capo Totò Riina. L'ultimo dei corleonesi.
Totò Riina

L’ultima apparizione, dopo anni, è stata nel 2014 quando fu inviata una lettera firmata con quella sigla all’ex boss di Cosa nostra Totò Riina. Ovviamente, chi conosce le regole ferree del regime duro, sa che le lettere al 41 bis vengono censurate: Riina, infatti, non ha mai potuto leggerla. Tramite i lavori delle commissioni parlamentari, era emerso che la tesi più verosimile è che la Falange armata si tratti, soprattutto nella seconda fase dove facevano incursioni informatiche (internet era agli albori e nel mondo erano nati i primi hackers), l'opera di ragazzi che si divertivano a burlare le istituzioni e i mass media. A questo bisogna aggiungere che tante rivendicazioni erano ad opera di mitomani, senza escludere – per quanto riguarda le stragi - che potessero far comodo anche alla mafia stessa, soprattutto per creare ulteriore terrore e forme di depistaggi. Diversi pentiti hanno riferito chiaro e tondo che fu Riina stesso a dire di fare rivendicazioni tramite quella sigla fasulla. 

IL DEPISTAGGIO DEI SERVIZI SEGRETI STRANIERI

La tematica della falange armata però è entrata anche nel processo sulla trattativa Stato mafia e accennata anche nelle motivazioni della condanna di primo grado. Entra grazie alla deposizione di Francesco Paolo Fulci. Diplomatico di lunga data, Fulci è stato il capo del Cesis, l’organismo di coordinamento tra il servizio segreto civile e militare, dal maggio 1991 all’aprile 1993. Al processo ha raccontato la vecchia storia e già verificata dalla magistratura: ovvero che aveva avuto il sentore che dietro la Falange armata ci sarebbero stati una quindicina di personaggi dei servizi segreti. 

In realtà, come detto, la questione fu già affrontata dal magistrato Saviotti e scartata, perché tale lista prodotta da Fulci non era suffragata da nessuna prova, ma era solo un “sentore”, come dichiarato appunto da Fulci. Ma all’epoca quel sentore gli costò una querela da parte di uno degli allora appartenenti ai servizi segreti. La magistratura archiviò, ma pur scagionando completamente Fulci, visto che era, ed è, una persona corretta e stimata dalle istituzioni, ha verificato tramite indagini accurate la completa estraneità dei personaggi dei servizi segreti con la falange armata.

La strage di piazza Fontana fu conseguenza di un grave attentato terroristico compiuto il 12 dicembre 1969 nel centro di Milano presso la Banca Nazionale
La strage di piazza Fontana, presso la Banca Nazionale

Come Il Dubbio è in grado di rivelare, la magistratura aveva anche scoperto che quel sentore avuto da Fulci, sarebbe stato però veicolato, a sua insaputa, da altri. Ovvero dai servizi segreti stranieri. Perché? Presto, detto. È emerso che un esponente dei servizi segreti ingiustamente indicato nella famosa lista di essere uno dei fautori della Falange armata, aveva collaborato, sin dal 1991, con il giudice di Milano Guido Salvini, relativamente alle indagini connesse alla strage di Piazza Fontana. Parliamo del colonnello Luigi Emilio Masina (faceva parte del controspionaggio del Sismi), il quale, appunto, aiutò il giudice Guido Salvini a scoprire un qualche coinvolgimento della Aginter Press, dove emerse il noto organismo di “intelligence straniero”. 

L'agenzia stampa fittizia. 

In sostanza, l’Aginter Press era una agenzia stampa, ma sotto copertura. Un vero e proprio centro di eversione internazionale, dietro cui si celava una organizzazione spionistica legata ai servizi segreti non solo portoghesi (fisicamente l’agenzia risiedeva in Portogallo), ma anche quelli occidentali tipo la Cia. In sostanza, quella struttura eversiva di estrema destra, era utile anche per i Paesi occidentali, perché usata in chiave anti comunista. Ebbene, il giudice Salvini, con l’aiuto del colonnello dei servizi segreti Masina (indicato da Fulci nella lista degli appartenenti alla Falange armata), forse stava mettendo le mani su qualcosa che poteva incrinare i rapporti diplomatici con i Paesi del Patto atlantico. 

Il magistrato che chiese l’archiviazione della querela nei confronti di Fulci, ha messo nero su bianco che «a fronte dell’evidenziarsi di tali concrete emergenze investigative, non si è potuto trascurare di valutare l’ipotesi dell’obiettivo mirato, perseguito attraverso l’iniziativa dell’ambasciatore Fulci, per arginare una attività potenzialmente assai compromettente i buoni rapporti tra Paesi alleati».

In sostanza, Fulci, a sua insaputa, sarebbe stato utilizzato da servizi stranieri per colpire i servizi italiani (utilizzando la vicenda della Falange armata) che stavano aiutando la magistratura a scoperchiare l’interesse dei principali Paesi occidentali - impegnati nella battaglia contro il comunismo (parliamo della Guerra fredda) -, di “appaltare” operazioni sporche alla Aginter Press, che non potevano così essere condotte ufficialmente e in prima persona da entità governative. Oggi, a quanto pare, la sigla continua ad essere usata per depistare dai fatti nudi e crudi. 

Damiano Aliprandi

 





Commenti

Post popolari in questo blog

Trattativa Stato Mafia: una bufala giudiziaria.

Ho deciso di riaprire il blog per pubblicare qui tutta la mia lunga inchiesta pubblicata su un inserto settimanale de Il Dubbio dove decostruisco il teorema giudiziario della Trattativa Stato Mafia oramai entrato nell'immaginario collettivo come indiscutibile verità. Il compito del giornalismo non è romanzare o assecondare le tesi dei magistrati a prescindere, ma nel nostro Paese si sono confusi i ruoli.  Decostruzione teorema trattativa Ecco come è nato il teorema “trattativa”: dai pentiti a Ciancimino jr. La tesi giudiziaria della Trattativa Stato- mafia è una ricostruzione che ha tentato di riscrivere la storia di un determinato periodo del nostro Paese. Ogni legittima scelta politica , lotta tra correnti all’interno dell’ex Democrazia cristiana, atti amministrativi da parte dell’allora Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria o dell’allora ministero della Giustizia, azioni investigative portate avanti dalle divise, in particolare il reparto speciale dei carabinieri (Ros...

Lucia Borsellino e Fabio Trizzino: "La via crucis di Paolo"

  Sentita oggi dalla commissione antimafia , l'auspicio di Lucia Borsellino è stato chiaro. Non tesi precostituite, ma un'attenta e rigorosa analisi dei documenti, testimonianze autorevoli (pensiamo ai magistrati sentiti al CSM a una settimana dalla strage di Via D'Amelio), atti, per comprendere appieno cosa Borsellino stesse vivendo e soprattutto a quali indagini puntasse. Il giudice Paolo Borsellino L'avvocato Fabio Trizzino ha abilmente ricostruito il contesto politico di allora, la partitocrazia che traballava con i primi segnali di tangentopoli, il cambio di guardia di Cosa Nostra con l'avvento di Totò Riina che aveva captato lo stravolgimento in corso e ha puntato al capotavola del "tavolino" per la spartizione dei pubblici appalti. Non più ruolo parassitario, ma attivo. Direi egemonico. Ha delineato questo contesto per far comprendere quanto sia stato "pericoloso" il dossier mafia appalti in quel momento e che, se sviluppato adeguatamen...

Stragi: la solidità della pista dossier Mafia Appalti

Non si comprende il motivo per il quale si fa quasi intendere che la pista del dossier mafia appalti come causa delle stragi di Capaci e di Via D'Amelio, dove persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sia una fantasia giudiziaria. O addirittura, come fa intendere una certa antimafia (composta da uno zoo interessante tra ex magistrati, guru e fanatici vari), una forma di depistaggio per nascondere delle "indicibili" verità. In questo articolo sintetizzo al massimo la questione.  I fatti, non suggestioni. Non mi addentro, per ovvi motivi, su come la procura di Palermo di allora, trattò questo procedimento. Non entro nel merito di cosa ne pensasse Paolo Borsellino. Sono tutti elementi che molto probabilmente saranno sviscerati dall'attuale commissione antimafia guidata da Chiara Colosimo. Sempre se lo permetteranno. Dossier Mafia Appalti Gli atti giudiziari che indicano il dossier mafia appalti come concausa Qui di seguito una lista delle sentenze ...