L'uso distorto della "verità storica" è un problema che affligge spesso il mondo del giornalismo. Lo si fa per rispolverare tesi dietrologiche completamente sconfessate dai processi.
Facciamo un semplicissimo esempio sull'uso distorto della presunta "verità storica". Se in un processo emerge che non esistono prove che X e Y abbiano stipulato il contratto in data Z, significa che l'accusa era basata sul nulla cosmico. Non è che se prendo tutte le prove, comprese alcune deliranti testimonianze di terze parti, presentate dall'accusa, e le ribadisco in un libro sapendo che erano oggettivamente fasulle, sto stabilendo la "verità storica". Sto, invece, compiendo una cialtronata, anche se ciò mi fa guadagnare consensi e vincere premi come miglior giornalista d'inchiesta.
Caso di una seria Verità Storica
La verità storica è, invece, una questione seria. Faccio un altro banalissimo esempio. In un processo emerge che la causa della morte di A è dovuta al fattore Y, invece di Z. Ma il fattore Y non è stato approfondito nel processo per diversi motivi. Ecco, in questo caso, la verità storica consiste nel ricostruire in modo imparziale e "scientifico" possibile la vicenda, grazie anche a quanto emerso dagli atti stessi, verbali e testimonianze attendibili, e restituirla quindi alla collettività.
La bizzarra fusione della verità storica e processuale
Poi c'è anche una terza situazione. Accade che la verità processuale sia completamente distorta a causa di strane ricostruzioni da parte dei giudici che non solo non si limitano al reato, ma si improvvisano anche come storici e formulano ricostruzioni deliranti. Ecco, in questo caso, le due presunte "verità" si fondono e c'è un Pietro Calamandrei che muore.
Damiano Aliprandi
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