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41 bis, mafia e domiciliari: i retropensieri offuscano la ragione

Sulla concessione dei domiciliari al detenuto al 41 bis c’è chi parla di una resa dello Stato di fronte alla logica della mafia, chi (come il Pd) evoca una commissione Antimafia per verificare se ci sia stato un contrasto con la norma del 41 bis, chi – come Matteo Salvini – cavalca l’indignazione popolare per dire che il decreto “Cura Italia” sta liberando i mafiosi dalle carceri. Nulla di tutto questo.

Coronavirus, Pd e M5s: “Preoccupazione per boss scarcerati dal 41bis. Intervenga l’antimafia”. Salvini attacca il governo. Bonafede: “Falso che mafiosi siano inclusi nel Cura Italia. Verifiche su Bonura dal ministero”

Tutto è partito da una notizia data con enfasi da L’Espresso (e poi in tandem ripresa da Il Fatto Quotidiano) in merito al provvedimento del Tribunale di sorveglianza di Milano che ha dato i domiciliari al quasi 80enne Francesco Bonura, detenuto al 41 bis di Opera. «Ci sono state affermazioni improprie e strumentali che obliterano il caso concreto», spiegano a Il Dubbio i suoi legali, gli avvocati Giovanni Di Benedetto e Flavio Sinatra. «A Bonura gli restano meno di 9 mesi di carcere da scontare», osservano gli avvocati sottolineando che la misura emessa non c’entra nulla con il recente decreto “Cura Italia”.

Ed è vero. La misura governativa è rivolta a chi ha una pena residua non superiore di 18 mesi da scontare, ma esclude i detenuti sottoposti a sorveglianza particolare tra cui il 41 bis. L’ordinanza della magistratura, invece, riguarda norme già esistenti e si applicano a discrezione dei giudici.

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LE GRAVI PATOLOGIE

Ma quali patologie ha Bonura, tanto da essergli concessi i domiciliari? Lo si legge direttamente dal provvedimento della magistratura di sorveglianza. «Dalla relazione sanitaria del 7 aprile 2020 – osserva il giudice Gloria Gambitta – risulta che il detenuto, di anni 78, riporta in anamnesi ipertensione arteriosa in terapia, ateromatosi carotidea con stenosi della carotide interna sinistra del 40% non emodinamicamente significativa, ipercolestertolemia; nel 2013 sottoposto ad intervento chirurgico per adenocarcinoma stenosante del colon e successiva chemioterapia adiuvante, attualmente in follow-up oncologico a causa di riscontro di aumentati valori dei markers tumorali; pregresso intervento di aneurismectomia aorto bisiliaca; Bpco in ex fumatore; presenza di laparocele addominale». A tutto ciò, ovviamente, si aggiungono anche i rischi da Covid 19 visto che Bonura ha tutte quelle patologie per le quali il virus potrebbe diventare fatale. Infatti il magistrato ritiene che «in considerazione dell’età avanzata del soggetto e della presenza di importanti problematiche di salute, con particolare riguardo alle patologie di natura oncologica e cardiaca, vi siano nell’attualità i presupposti per il differimento facoltativo dell’esecuzione della pena ai sensi dell’art. 147 co 1 n. 2 c.p., anche tenuto conto dell’attuale emergenza sanitaria e del correlato rischio di contagio – indubitabilmente più elevato in un ambiente ad alta densità di popolazione come il carcere – che espone a conseguenze particolarmente gravi i soggetti anziani ed affetti da serie patologie pregresse».

Ovviamente ai domiciliari è sottoposto, come prescritto dal magistrato, a vari obblighi e sarà perennemente vigilato dalle forze dell’ordine. Il Coronavirus è sicuramente un elemento aggiuntivo, ma il differimento pena è per motivi di salute. Il 41 bis non prevede, almeno sulla carta, l’accanimento nei confronti di una persona oggettivamente malata. Soprattutto quando, dettaglio non piccolo, gli rimarrebbe comunque poco da scontare. Non parliamo di un ergastolano (anche in quel caso il diritto alla salute dovrebbe prevalere), ma di uno che comunque avrebbe finito presto di scontare il regime duro. Sarebbe comunque ritornato a casa, salvo se non fosse morto prima come il detenuto Vincenzo Sucato (sempre ostativo) gravemente malato al carcere di Bologna e deceduto quando ha contratto il virus.

I RADICALI E I POLIZIOTTI

Per l’associazione del Partito Radicale Nessuno Tocchi Caino si tratta di «decisioni ineccepibili dal punto di vista Costituzionale e normativo. La Costituzione riconosce il diritto alla vita e alla salute come diritti fondamentali, prevalenti su ogni altra considerazione, ragione di sicurezza o di ordine pubblico».

Gli esponenti dell’associazione aggiungono che «nei casi in questione, stiamo parlando di persone gravemente malate, a rischio della propria vita nel perdurare dello stato di detenzione. Inoltre è sbagliato e fuorviante parlare di benefici come di scarcerazione avendo il tribunale di sorveglianza di Milano disposto un differimento pena per motivi di salute». Prende posizione il sindacato Uil della polizia penitenziaria tramite il rappresentante Gennarino De Fazio: «Non ci scandalizziamo affatto se un magistrato esercitando le sue funzioni decide una qualche forma di scarcerazione per età avanzata e accertate condizioni di salute, fidandoci, appunto, delle valutazioni di quel magistrato che abbia potuto disporre di quante più informazioni possibili».

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SE LA DIETROLOGIA STRAVOLGE I FATTI

Secondo Nino Di Matteo, membro togato del Csm, lo Stato sta dando l’impressione di essersi piegato alle logiche di ricatto che avevano ispirato le rivolte. Sì, perché secondo lui le rivolte carcerarie avrebbero avuto una regia mafiosa. Eppure è esattamente il contrario. La cultura mafiosa all’interno delle carceri, da sempre, è quella del mantenimento dell’ordine. Non a caso, tale ordine è stato sconvolto proprio negli anni che cominciarono a entrare in carcere i ragazzi appartenenti alle organizzazioni politiche di estrema sinistra.

Il Dubbio, a tal proposito, ha riportato la testimonianza dell’ex ergastolano ostativo Carmelo Musumeci. Alla domanda se è stato costretto a scontrarsi con altri detenuti quando propose di ribellarsi contro il sistema carcerario, lui ha risposto così: «Sì. Molti di loro entravano in carcere già “istituzionalizzati”. Non dallo Stato, ma dalla cultura mafiosa che è volta all’ubbidienza e all’ordine. Mi ritrovai a scontrarmi con alcuni boss mafiosi, perché io pretendevo che ci ribellassimo tutti insieme alle torture che subivamo all’Asinara. Loro invece no, rispondevano che avrebbero subito le umiliazioni e torture a testa alta. Io pur essendo stato un delinquente, avevo acquisito una coscienza ribelle durante le sommosse degli anni 70 che avvenivano anche negli istituti penali minorili». Siamo sempre lì. Alle dietrologie che stravolgono la verità oggettiva dei fatti. Punto primo. Nessun decreto governativo ha facilitato la liberazione di chi si è o si sarebbe macchiato di mafia. Punto secondo. Parliamo di provvedimenti a firma di magistrati, indipendenti dal potere politico e soprattutto da quello esecutivo. Sono scelte individuali, si valuta lo stato di salute e tanti altri fattori. L’unico punto di riferimento è il Diritto. I retropensieri offuscano la ragione e molto spesso, purtroppo, non si fermano solo in alcuni giornali ma si concretizzano anche in alcune aule di tribunale.

Damiano Aliprandi

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