La pandemia, come questa di Covid 19, di solito fa da specchio agli esseri umani e mostrano chi siamo veramente. Ma possono anche mettere in mostra tutta la fragilità di un sistema nazionale minato dal virus populista. Nell'Europa dell'Est il colera negli anni Trenta del diciannovesimo secolo ha consentito l'imposizione delle repressione draconiane, quasi medioevali. E lì fu qualcosa di duraturo. Quindi mi sono permesso di inventarmi questo breve racconto distopico narrato in prima persona. Un po' per divertimento, un po' per dire che dobbiamo stare sempre vigili.

«A far l'amore comincia tu», e la gente ballava estasiata sui balconi di casa. Poi seriosi, con occhi lucidi, si mettevano a cantare l'inno nazionale, alternata dalla voce di Conte che diceva «Andrà tutto bene!». Era la festa istituzionale che si celebrava una volta a settimana. Una emozione pura.So che il lettore se lo chiederà, ma rispondo subito che serviva eccome. Passò un anno dalla fine di quella tragedia che ha devastato il globo intero. Ma quel maledetto Covid 19 - così dicevano i nostri governanti - non era stato completamente debellato e il pericolo era sempre all'orizzonte.
Con magnanimità allentarono le forti restrizioni subite. I bar e locali vari venivano gradualmente riaperti. Ma ad un determinato orario. Era comunque severamente vietato fare assembramenti e la distanza sociale rimaneva un obbligo. Cambiò radicalmente tutto. Ogni due mesi dovevamo metterci tutti in quarantena per almeno tre settimane, onde evitare il diffondersi del contagio. Oramai il parlamento cambiò natura, tutto si ottimizzò attraverso la piattaforma on line. Ma soprattutto, per evitare gli intoppi delle discussioni tra Partiti, molto spesso si procedeva con i DPCM: una formula salvifica per emettere subito i decreti. Funzionò perfettamente. Tutto andò liscio soprattutto grazie ai cittadini, integerrimi e responsabili, che facevano rispettare la legge nei confronti di chi si permetteva di trasgredire le regole. Il malcapitato che provava a fare il furbo veniva prontamente ripreso dagli smartphone con tanto di video pubblicato su Facebook. Il sito del ministero dell'interno era autorizzato a pubblicarlo sulla sua home: una volta a settimana veniva messo al pubblico ludibrio "l'untore del giorno". Più che giusto, un delinquente che poteva farci uccidere tutti!
Sì, d'altronde era stato proclamato lo "Stato di pandemia" dal presidente Conte attraverso la diretta Facebook. Me lo ricordo come se fosse ieri. Erano le 10 di sera quando annunciò che aveva qualcosa da dire agli italiani. Passò un ora, poi due ore, ancora un'altra ora, quando verso le due di notte finalmente lo annunciò con un emozionante discorso. Quanto era bello avere il senso dello Stato, la protezione della collettività grazie al sacrificio di tutti noi! Che bei tempi! Passarono dieci anni da allora. Poi dei pazzi squilibrati parlarono di Diritti, democrazia, costituzione, libertà individuale.Tutta roba incomprensibile alle mie orecchie.Li avrei voluti linciare! «Possibile che non capiscono dell'emergenza sanitaria in corso? Ma ci vogliono morti?», pensai disgustato.
Da allora cambiò tutto. Ma io, tuttora, nonostante la vecchiaia, non riesco ancora ad abituarmi ad usufruire della libertà che mi è stata restituita. Mi sento disorientato, senza qualcuno che mi dica cosa fare, senza alcun punto di riferimento. Per troppo tempo mi sono abituato a vivere come in una caserma dove mi indicavano passo dopo passo cosa fare. Oramai sono solo un vecchio nostalgico, ho la mia età e posso solo attendere il cimitero.
Damiano Aliprandi
Commenti
Posta un commento