Passa ai contenuti principali

Giovanni Falcone era diventato il simbolo o l'alibi di una battaglia disorganizzata


Le ragioni per le quali Giovanni Falcone ha scelto Roma come nuova sede di lavoro sono diverse: nella capitale di Cosa Nostra non poteva più disporre dei mezzi necessari alle sue inchieste, il frazionamento delle istruttorie aveva paralizzato i giudici del pool anti mafia. Ma soprattutto l'aria della procura di Palermo era diventata asfissiante e tutto ciò è ben cristallizzato nei suoi diari resi pubblici dopo qualche tempo dal giornale Il sole 24 ore.

Sì, Giovanni Falcone è stato un eroe solo

Era diventato il simbolo o l'alibi di una battaglia disorganizzata. Conscio di non essere più in grado di inventare nuove strategie, l'uomo del maxiprocesso, che aveva trascinato in tribunale i grandi capimafia, non poteva rassegnarsi a rimanere inerte. Ha scelto di andarsene. Le informazioni da lui raccolte possono essere utilizzate con profitto anche lontano da Palermo. Certo, non dovrà più svolgere personalmente le indagini, dovrà invece creare condizioni tali per cui le indagini future possano essere portate a termine più rapidamente e in modo più incisivo, dando vita a stabili strutture di coordinamento tra i diversi magistrati. Quest'ultima cosa lo disse durante un convengo dedicato alla criminalità e appalti organizzato il 15 marzo del 1991 presso Castel Utveggio sul monte Pellegrino a Palermo. Fu lì che anticipò una parte del contenuto del famoso dossier mafia e appalti. E fu lì che parlò della necessità di coordinamento tra diverse procure.

Nel frattempo Cosa Nostra  ha rinunciato all'apparente immobilità. La pax mafiosa seguita alle pesanti condanne del maxiprocesso, da un lato, e al dominio dittatoriale dei "Corleonesi" sull'organizzazione, dall'altro, non è più salda come prima. Si moltiplicano i segnali di un progetto di rivincita delle "famiglie" palermitane per riconquistare l'egemonia perduta nel 1982 a favore della "famiglia" di Corleone, i Cui capi, latitanti, si chiamano Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Luciano Leggio. La mafia sta attraversando una fase critica: deve riacquistare credibilità interna e rifarsi una immagine di facciata, in quanto entrambe gravemente compromesse. « Abbiamo poco tempo per sfruttare le conoscenze acquisite, » ripete instancabilmente Falcone « poco tempo per riprendere il lavoro di gruppo e riaffermare la nostra professionalità. Dopodiché, tutto sarà dimenticato, di nuovo scenderà la nebbia. Perché le informazioni invecchiano e i metodi di lotta devono essere continuamente aggiornati». Falcone era così, per questo Totò Riina non fa che evocarlo fino agli ultimi suoi giorni di vita al 41 bis. Basterebbe leggere le sue intercettazioni per capire quanto lo odiasse, tanto da rivendicare  più volte al suo compagno d'ora d'aria la sua impresa per attuare la strage di Capaci.


Feroce, ambizioso, spietato: Totò Riina story, la belva mai domata ...

«Durante l'interrogatorio di Michele Greco, capo di Cosa Nostra a Palermo, ogni tanto ci dicevamo a vicenda: "Mi guardi negli occhi!", perché entrambi sapevamo l'importanza di uno sguardo che si accompagna a un certo tipo di affermazione.», racconta Falcone alla sua amica giornalista Marcelle Padovani e trascritto nel libro scritto a quattro mani " Cose di Cosa nostra". 


Padovani spiega nel libro che questo è l'asso nella manica di Falcone: siciliano, anzi meglio palermitano, ha trascorso tutta la vita immerso nella diffusa cultura mafiosa, come un altro siciliano qualsiasi e come un qualsiasi mafioso, e conosce perfettamente il lessico delle piccole cose, dei gesti e dei mezzi gesti che a volte sostituiscono le parole. Sa che ogni particolare nel mondo di Cosa Nostra ha un significato preciso, si riallaccia a un disegno logico, sa che nella nostra società dei consumi, in cui i valori tendono a scomparire, si potrebbe pensare che le rigide regole della mafia offrano una soluzione, una scappatoia non priva apparentemente di dignità, e ha di conseguenza imparato a rispettare i suoi interlocutori anche se sono criminali. 


Falcone era criticatissimo dai suoi colleghi. Soprattutto perché non assecondava le dietrologie che oggi, ahimè, ritornano quando si parla della sua morte. Il paradosso è proprio questo. Taluni magistrati che fanno le vittime evocando Falcone, sono gli stessi che però fanno ragionamenti che Falcone stesso stigmatizzava. Ma ora mai va così. Si parla di cose non riscontrate, trascurando tutte le questioni certe e che andrebbero ulteriormente approfondite. 

Damiano Aliprandi







Commenti

Post popolari in questo blog

Trattativa Stato Mafia: una bufala giudiziaria.

Ho deciso di riaprire il blog per pubblicare qui tutta la mia lunga inchiesta pubblicata su un inserto settimanale de Il Dubbio dove decostruisco il teorema giudiziario della Trattativa Stato Mafia oramai entrato nell'immaginario collettivo come indiscutibile verità. Il compito del giornalismo non è romanzare o assecondare le tesi dei magistrati a prescindere, ma nel nostro Paese si sono confusi i ruoli.  Decostruzione teorema trattativa Ecco come è nato il teorema “trattativa”: dai pentiti a Ciancimino jr. La tesi giudiziaria della Trattativa Stato- mafia è una ricostruzione che ha tentato di riscrivere la storia di un determinato periodo del nostro Paese. Ogni legittima scelta politica , lotta tra correnti all’interno dell’ex Democrazia cristiana, atti amministrativi da parte dell’allora Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria o dell’allora ministero della Giustizia, azioni investigative portate avanti dalle divise, in particolare il reparto speciale dei carabinieri (Ros...

Lucia Borsellino e Fabio Trizzino: "La via crucis di Paolo"

  Sentita oggi dalla commissione antimafia , l'auspicio di Lucia Borsellino è stato chiaro. Non tesi precostituite, ma un'attenta e rigorosa analisi dei documenti, testimonianze autorevoli (pensiamo ai magistrati sentiti al CSM a una settimana dalla strage di Via D'Amelio), atti, per comprendere appieno cosa Borsellino stesse vivendo e soprattutto a quali indagini puntasse. Il giudice Paolo Borsellino L'avvocato Fabio Trizzino ha abilmente ricostruito il contesto politico di allora, la partitocrazia che traballava con i primi segnali di tangentopoli, il cambio di guardia di Cosa Nostra con l'avvento di Totò Riina che aveva captato lo stravolgimento in corso e ha puntato al capotavola del "tavolino" per la spartizione dei pubblici appalti. Non più ruolo parassitario, ma attivo. Direi egemonico. Ha delineato questo contesto per far comprendere quanto sia stato "pericoloso" il dossier mafia appalti in quel momento e che, se sviluppato adeguatamen...

Sequenza di Fibonacci, la sezione aurea e Dio.

Purtroppo sono sempre stato un somaro in matematica. Soprattutto per la solita svogliatezza che mi caratterizzava. Però mi ha sempre affascinato la cosiddetta sequenza di Fibonacci che si presenta in natura. Di esempi ce ne sono tanti, dai fiori fino ad arrivare alle classiche galassie. Si tratta di una sequenza matematica molto affascinante, ogni numero è la somma dei due precedenti. È uno schema armonico che porta al disegno di una spirale le cui proporzioni sono riscontrabili in una grande varietà di strutture naturali. Ma non è una casualità. La natura, alla fine, durante la sua evoluzione millenaria, ha trovato spontaneamente l'unica soluzione per ottimizzarsi da sola. Ad esempio le api hanno imparato, attraverso millenni di evoluzione, che l’esagono è la forma migliore per il loro alveare. E così via. La sezione aurea o rapporto aureo, chiamato anche proporzione divina, è un numero irrazionale che si ottiene effettuando il rapporto tra due lunghezze disuguali d...