«Riteniamo che tali novità non debbano essere del tutto perse a conclusione del periodo emergenziale», propongono i togati del Csm appartenenti alla corrente capeggiata da Piercamillo Davigo. Si riferiscono, tra le altre cose, anche al processo da remoto. Era già tutto scritto. Le emergenze, che siano reali come quella odierna o presunte come quella della corruzione, sono una mano santa per chi vuole rendere questo nostro Paese un perenne Stato di eccezione. Ora i soliti quattro magistrati, ma che hanno un peso abnorme nell'opinione pubblica , vogliono che i processi penali si svolgano virtualmente (tramite gli strumenti telematici) anche dopo la fine dell’emergenza coronavirus. La giustificazione di tali misure da consolidare è, in teoria, di tipo economico. Per quello che so, l’economia può costituire un’ottima guida per l’analisi del diritto, ma i diritti – ed in particolar modo quelli che godono di copertura costituzionale e che sono frutto di lotte secolari – non sono fatti per essere liquidati da un discorso di risparmio economico.

Ma la verità è un’altra. La giustizia penale al tempo del Covid 19 è esattamente quella auspicata da chi vuole ridisegnare lo Stato di Diritto a sua immagine e somiglianza. Ovvero il Diritto senza sostanza. La ritualità è una di quelle e comprende la dialettica e fisicità. Così come all'accusato deve sempre essergli riconosciuto il diritto «davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico», come recita l’articolo 111 comma 3 della nostra costituzione italiana.
L’avvocato deve essere presente, guardare in faccia il pubblico ministero e il Giudice. Essere al fianco del suo assistito per consultarlo, oppure per confortarlo umanamente. Sì, sembra assurdo ma nei tribunali è importante che vi sia il calore umano. L’avvocato deve poter fare il controesame guardandoli negli occhi. L’imputato ha il diritto di guardare negli occhi il proprio accusatore, il testimone che lo ha visto premere il grilletto della rivoltella, l’agente di Polizia Giudiziaria al quale avrebbe opposto resistenza, la moglie che avrebbe perseguitato, il Giudice che dovrà sentenziare.
Ma soprattutto c’è l’arringa finale. Parliamo di un momento ricco di pathos; è la “spada” degli avvocati: così come un pittore firma la sua opera d’arte, ogni avvocato firma il processo celebrato con la sua arringa. Fare l’arringa da remoto è come una primavera senza fiori. Il processo da remoto è anche il preludio di un logaritmo al posto del giudice.
Damiano Aliprandi
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